Che l’abbia sparata grossa, l’ha capito lo stesso interessato. “Mi è saltato il Ferragosto”, aveva detto ai giornalisti, nelle ore a ridosso del crollo del Ponte Morandi a Genova, Rocco Casalino, nientemeno che il portavoce del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
Non fa in tempo a diffondersi l’audio di quello sfogo così infelice in quel così drammatico momento, che scoppia, ovviamente, la bufera. Con richieste, dal Pd a Forza Italia, di dimissioni per Casalino. Gli contestano la sorprendente gravità dell’accaduto.
Non è la prima volta che l’esternatore di Palazzo Chigi viene attaccato dalle opposizioni. Ma stavolta è diverso. Perché esiste una sensibilità collettiva e profonda, quando avvengono tragedie che ogni italiano vive attraverso la sempre più coinvolgente comunicazione globale, che non può essere scalfita neanche per errore. “Nelle mie parole nessuna volontà di offendere le vittime di Genova”, ha precisato Casalino. Scusandosi “per l’effetto prodotto da un mio audio privato finito sui giornali”. E criticando l’uso strumentale di questa polemica.
Ma la vicenda offre uno spunto ben oltre il “caso Casalino”: non è vero che nell’era di internet, dove il mondo delle parole sembra aver soppiantato quello della vita reale, le frasi, i tweet o le battute al telefono siano sempre ininfluenti. Non è vero che “verba volant”, cioè che le parole si dimenticano e volano via, a differenza degli scritti, che invece “restano”, secondo l’antico e pur saggio proverbio latino.
In realtà, “verba manent”, eccome se rimangono, le parole. Perché esse sono capaci, soprattutto se pronunciate da chi rappresenta poteri, amministrazioni, istituzioni, di incidere con una forza irresistibile. Proprio sull’onda di una comunicazione immediata e universale.
Basta la parolina maldestra di un ministro, basta un sussurro dietro le quinte per rischiare effetti a valanga sull’economia, sulla politica, sulla diplomazia. Tanto più che la pratica della rettifica ha perso la già lieve funzione che aveva in passato: è buona la prima (parola), perché entra nel frullatore dell’informazione globale e si salvi chi può.
Ecco perché chi ricopre incarichi pubblici, dovrebbe esercitarsi con parsimonia e competenza verbale quando si esprime.
Montanelli amava ricordare ai potenti di turno che essi avevano “il diritto di dire quello che pensano”. Ma anche -aggiungeva- “il dovere di pensare a quello che dicono”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi