Cambiano i governi, ma lo scontro fra politica e giustizia è intramontabile. Adesso a finire nella contesa è Matteo Salvini, indagato dalla magistratura siciliana per sequestro di persona aggravato. Dunque, nella sua qualità di ministro dell’Interno che bloccò la discesa a terra (poi avvenuta) dei migranti a bordo della nave Diciotti, attraccata il 20 agosto a Catania. Per la cronaca una cinquantina degli immigrati sempre assistiti e infine portati alla Caritas in attesa di capire se avessero diritto allo status di rifugiato, sono nel frattempo scappati (e alcuni di loro ripresi).
Ma i fatti in questa vicenda c’entrano poco, purtroppo: è la polemica che infuria. “Io sono stato eletto, i giudici no”, reagisce Salvini. “Gli italiani sono con me”, aggiunge sfidante. “Eversivo”, gli rispondono il Pd e Magistratura democratica, la corrente orientata a sinistra.
E allora: vogliono farlo fuori per via giudiziaria oppure è lui, Salvini, ad attentare contro la Costituzione? Di fronte ai due e contrapposti eccessi polemici, il ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede, interviene per chiedere a Salvini “di non farci tornare nella seconda Repubblica”. Bonafede si riferisce agli attacchi contro la politicizzazione delle Procure nell’epoca dei governi-Berlusconi.
Ma Salvini già aveva criticato un altro provvedimento, stavolta della magistratura genovese, di conferma del sequestro di 49 milioni dai conti della Lega, in seguito alle accuse a Bossi e al tesoriere di allora, Belsito (il processo è in corso) per rimborsi elettorali di otto anni fa.
Anche qui le carte, i dibattimenti e alcune condanne di primo grado non fanno testo: conta soprattutto la controversia se sia giusto o no mettere a repentaglio, con la confisca dei soldi, l’esistenza di un partito. Come se fosse pensabile mettere fuorilegge un movimento che, secondo i sondaggi, può diventare la prima forza politica in Italia.
L’attacco a gamba tesa contro i giudici, o la loro difesa dando, all’opposto, del sovversivo a un ministro della Repubblica, non portano da nessuna parte. Politica e giustizia viaggiano su binari paralleli, ma indipendenti. Se è stravagante accusare di sequestro di persona un ministro che prende una decisione -discutibile quanto si vuole-, nel libero e sovrano esercizio della sua funzione, lo accerterà il tribunale dei ministri. Non c’è bisogno di alzare la voce per avere giustizia. E i ministri meglio farebbero, sempre e tutti, ad abbassarla.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi