Nell’epoca che ha fatto del selfie la sua bandiera, nel tempo del “tutto è pubblico” ostentato a colpi di tweet e con la benedizione di facebook, ben venti famiglie (su trentotto) rifiutano i funerali di Stato, a Genova, per dare l’ultimo saluto ai loro cari. Niente passerelle per nessuno, neppure in compagnia delle massime autorità della Repubblica, al cospetto delle telecamere e sull’onda di una commozione che ha colpito tutti gli italiani. Più della metà dei parenti delle vittime sotto il ponte Morandi crollato senza ancora un perché, ha deciso di piangere in silenzio e in solitudine i propri morti. E di farlo ciascuno nei luoghi natali o d’origine. Rispetto per chi non c’è più, pietà per chi resta.
Tuttavia, non importa se le ragioni del diffuso e sorprendente “no, grazie” a una cerimonia di così alto valore simbolico -l’abbraccio dell’Italia intera alla presenza del capo dello Stato-, siano frutto di una comprensibile riservatezza che, al momento dell’addio, nessuno può permettersi di questionare. Neppure avrebbe senso amplificare lo sfogo, altrettanto comprensibile, di quel povero padre che, ricordando la perdita del figlio Giovanni, dice in lacrime: “Ha subìto un omicidio. Era una disgrazia annunciata, nella quale hanno perso ingiustamente la vita il mio ragazzo e tante altre persone”.
Quando la rabbia amara si trasforma in rivolta, quando il grido di dolore di padri e madri non lascia insensibile chi l’ascolta, bisogna chiedersi perché. Perché la disaffezione di tanti cittadini verso le Istituzioni stia diventando profonda e senza ritorno. Perché la gente si stia allontanando dalle Autorità che, a ogni livello, non sanno o non vogliono esercitare le loro responsabilità in tempo e con lungimiranza.
E’ la contestazione contro lo Stato che non controlla, che si disinteressa, che si sveglia sempre il giorno dopo. Invece chi ha il dovere, oltretutto lautamente pagato, di far valere le proprie prerogative, deve tornare a suonare l’allarme il giorno prima. Il lutto non si piange: si previene.
Quel ponte sta spezzando anche la fiducia, che è il bene più prezioso per chi fa politica, da parte di troppe famiglie colpite nella loro innocenza, e che ora non vogliono neppure la carezza delle istituzioni. Bisogna accertare e punire ogni colpa di questa inconcepibile tragedia. Ma bisogna pure recuperare il senso dello Stato. Altrimenti, il deserto continuerà a crescere fra gli italiani e il Palazzo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi