Giuseppe Conte è rimasto con le mani, e soprattutto con le nomine, in mano. Il presidente del Consiglio aveva convocato un mini-vertice per decidere, assieme ai suoi vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini e col ministro dell’Economia, Giuseppe Tria, chi mandare in ambiti e con ruoli importanti: il solito rito della concreta ripartizione di poteri che ogni governo assicura di voler fare in tempi rapidi e mandando la persona giusta al posto giusto.
Ma qui era ed è in ballo anche la poltrona di una sigla poco conosciuta ai più rispetto alla sua strategica rilevanza per tutti, la Cdp (Cassa depositi e prestiti): il polmone finanziario della politica nazionale.
Sul nuovo amministratore delegato non c’è accordo fra Cinque Stelle e Lega. “Ci stiamo riflettendo bene per non sbagliare”, citando le parole felpate del mediator dei mediatori, il sottosegretario leghista, Giancarlo Giorgetti. E così la riunione che doveva far uscire, dopo giorni di tira e molla e di nomi che girano, la fumata bianca, è andata direttamente in fumo. “Rinviata ad altra data”, secondo la formula neutrale che però rivela tutto: manca l’intesa. Ufficialmente lo slittamento è dipeso da impegni istituzionali dei partecipanti. Ma interpellato sull’incontro saltato, Salvini ha dato una risposta piccata: “Non sapevo che fosse stato convocato, non so neanche che sia stato sconvocato”.
Dunque, anche il governo del cambiamento scopre i problemi e le abitudini di tutti i predecessori a Palazzo Chigi, sempre pronti al braccio di ferro pur di piazzare sul posto che conta il candidato più gradito a una parte anziché all’altra. E nella vicenda che scotta, le parti in gioco sono almeno tre: pentastellati, leghisti e tecnici orbitanti fra un’area e l’altra. Trovare “la quadra” è complicato.
Immediate le accuse dell’opposizione alla maggioranza giallo-verde di vecchia spartizione, di lottizzazione tale e quale, del ripescato manuale-Cencelli, dal nome del democristiano che teorizzò la pratica di un posto per tutti in proporzione al peso di ogni forza politica.
Il pacchetto nelle società partecipate si rivela più insidioso dei compromessi raggiunti -anche se in diversi casi non meno contestati-, per le commissioni parlamentari di garanzia, per la Rai, per i membri delle più alte istituzioni designati dalle Camere.
Sulla Cdp nel governo si litiga in nomine del popolo sovrano.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi