Dopo quaranta giorni di capricci, i vincitori del 4 marzo non hanno più il diritto, ma il dovere di dimostrare se sono capaci di mettersi insieme per governare. E’ proprio il richiamo al senso di responsabilità ciò che più colpisce dell’asciutto appello che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha lanciato al termine del secondo e altrettanto infruttuoso giro di consultazioni politiche al Quirinale. Contrariamente a chi forse pensava che il capo dello Stato si sarebbe rifugiato dietro a qualche liturgia della sua limpida tradizione democristiana, Mattarella ha invece detto pane al pane. “Nessun progresso, darò qualche giorno di tempo e poi valuterò come procedere per uscire dallo stallo”, è stato l’ultimatum rivolto a tutti. Ma che rimbomba come monito soprattutto per Salvini e Di Maio, i protagonisti del matrimonio che manzonianamente “s’ha da fare”, ma che non si fa. Di Maio non vuole Berlusconi con la stessa forza con cui Berlusconi non vuole Di Maio. Ma a parte che perfino nella ben più drastica Germania Frau Merkel della Cdu e Herr Schulz della Spd sono stati alla fine costretti dalle circostanze a fare un governone, dopo che in campagna elettorale avevano giurato il “mai più” tra loro, è chiaro che esistono tanti modi perché i Cinque Stelle e il centrodestra, ossia i primi destinatari di governo, si accordino senza restare prigionieri dei fantasmi, berlusconiani o grillini che siano. Tutto dipende dal programma di possibile condivisione tra le parti e dalla scelta dei ministri, sulla quale la parola di Mattarella vale più di quella degli sfidanti. E perciò affidarsi alla sua mediazione sarebbe anche un modo per andare oltre il reciproco e immobilizzante veto Berlusconi-Di Maio.
Dunque, leader avvisati, mezzo salvati: se entro pochi giorni Salvini e Di Maio non usciranno dallo stallo evocato, sarà Mattarella ad agire. Dando, forse, un incarico esplorativo (alla presidente del Senato?) o un incarico o preincarico a chi sarà capace di rispecchiare il voto degli italiani e di rompere le pregiudiziali diffidenze. Perché “le tensioni del commercio mondiale, la crisi internazionale e le scadenze europee” -come ha ricordato il presidente-, esigono con urgenza un governo con pieni poteri, anziché la commedia quotidiana delle baruffe.
Impossibile dire come finirà quel che deve ancora cominciare. Ma di sicuro Mattarella non resterà a guardare i vincitori che litigano e i giorni che passano.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi