Ci voleva tutta la discrezione di Sergio Mattarella, che è il tratto della sua presidenza, per compiere in silenzio un grande atto di maturità istituzionale: il ritorno in patria delle ultime salme dei Savoia ancora sepolte all’estero. A più di settant’anni dalla fine della guerra, il massimo rappresentante della Repubblica sta accompagnando la chiusura, anche simbolica, del passato che faticava a passare, incarnato da Vittorio Emanuele III, penultimo re d’Italia, e dalla consorte Elena. La regina venuta dal Montenegro e sepolta a Montpellier, in Francia -dov’era morta nel 1952 a 79 anni-, da ieri riposa al Santuario di Vicoforte, nel Cuneese. I suoi familiari hanno espresso gratitudine al capo dello Stato, “che ha permesso il trasferimento del corpo in Italia”. Anche le spoglie del marito e già re potrebbero presto rientrare da Alessandria d’Egitto, dove l’uomo si spense a 78 anni proprio un 28 dicembre di settant’anni fa.
Per dare l’idea di quanto i tempi e le sensibilità siano cambiate, basti ricordare che quando l’esiliato Umberto II, ultimo re d’Italia e a sua volta sepolto nell’abbazia francese di Altacomba, scrisse all’allora presidente Sandro Pertini per cercare di risolvere il caso, omise di indicare la parola “Repubblica” sulla busta. E poi tra i numerosi partiti esistenti e che alle più varie famiglie politiche si riferiscono, da anni non ce n’è più uno di stampo monarchico: segno che i Savoia, una delle più antiche dinastie d’Europa, sono stati consegnati alla storia e al suo giudizio. Che, nel caso di Vittorio Emanuele III, è giudizio severo.
A fronte del comportamento da “re soldato”, come fu ribattezzato per la vicinanza ai militari italiani nella Grande Guerra, pesano l’ignominiosa fuga da Roma, l’8 settembre 1943, dopo aver aperto le porte istituzionali al fascismo, vent’anni prima. Mai contestò l’infamia delle leggi razziali o l’intesa con la Germania nazista e la guerra.
Ma il ritorno delle salme non riscrive la storia: semmai aiuta a meglio comprenderla in tutte le sue sfumature, che non si possono tagliare con l’accetta o essere revisionate con cieco spirito di rivalsa.
I conti col passato sono già stati chiusi con l’irrevocabile scelta della libertà e della Repubblica. Ora la nazione adulta può rimettere tutti i pezzi della memoria nel mosaico della propria storia. Una memoria per guardare al futuro con la forza della conoscenza, non per impantanarsi in un passato sepolto almeno quanto le sue salme.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi