Aveva l’”autorizzazione provvisoria”, come la si dà quando è meglio non risolvere un problema. E la firma dell’atto che concedeva alle istituzioni la possibilità temporanea di eseguire quella musica, era di Alcide De Gasperi, primo capo del governo nell’Italia repubblicana. La appose nel 1946, il giorno della scoperta dell’America: 12 ottobre.
Dice l’impolverato verbale: “Su proposta del Ministro della Guerra si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli”.
Da allora l’inno ha navigato per settantun anni fra l’Italia e il mondo come un precario della Patria. Finalmente, il “Canto degli Italiani”, come in realtà si chiama l’inno nazionale, esce dall’ombra. Come già da tempo l’avevano fatto uscire gli italiani, cantandolo ovunque se ne presentasse l’occasione. In sede deliberante la commissione Affari Costituzionali del Senato ha fatto diventare definitivo il provvisorio. Adesso Goffredo Mameli, che ne scrisse le parole, e Michele Novaro che lo musicò, non ce li toglie più nessuno. Fratelli d’Italia per sempre.
Può sembrar singolare che, proprio nella patria di Verdi e del belcanto, di Pavarotti e di Bocelli, di Mina e Pausini, la nazione italiana abbia rinunciato così a lungo all’orgoglio di una sua canzone ufficiale e solenne. Un motivo che la facesse sentire una e unita, e riconosciuta dappertutto. Come lo svolazzante e leggero nel Blu dipinto di Blu di Modugno. Neppure chi ha elaborato la Costituzione, a differenza di molti altri Paesi, s’era curato d’aggiungere due righe per indicare un inno che De Gasperi aveva battezzato di gran corsa alla vigilia di un 4 novembre a sua volta nel frattempo abolito (e a tutt’oggi non ancora ripristinato) come giornata di festa nazionale.
Se l’inno e la bandiera sono il padre e la madre d’ogni patria, da noi il papà veniva bistrattato e persino deriso. A cicli continui, una parte dell’intellighenzia progressista e la Lega secessionista ancora imbevuta, all’epoca, delle ampolle del dio Po, ne chiedevano l’abolizione. O la comica sostituzione col coro Va’ Pensiero del Nabucco, “perché è padano”, dicevano dell’italianissimo Verdi.
Pochi facevano notare l’impronta risorgimentale dell’inno, le parole appassionate e profonde di un poeta, Mameli, morto per l’Italia ad appena ventun anni nel 1849. Il resto purtroppo lo faceva chi lo eseguiva (e ancora esegue) con uno stile troppo bandistico, pur prestandosi, la Canzone degli Italiani, a bellissime interpretazioni. Per esempio eseguite solamente con gli archi.
Il primo a rompere il pregiudizio musicale sull’Inno di Mameli fu Riccardo Muti. Il Maestro ne spiegò la bellezza e la delicatezza, suggerendo come poteva essere suonato per metterne in evidenza il valore artistico e la forza del testo.
Ma la svolta che ha reso popolare l’inno nazionale arriva nel 1999 con il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi. Non a caso un personaggio colto e risorgimentale, che non si piegò all’ideologismo o all’ignoranza -nel senso proprio di non conoscenza- di quanti avversavano Mameli.
Ciampi fece la cosa più elementare: lo fece cantare. Fino a quel momento anche i calciatori della Nazionale facevano scena muta al momento di Mameli (e la faranno ancora, visto che non saranno al Mondiale in Russia dopo la disfatta di lunedì). Nella scuola nessuno l’insegnava più. Nella politica quasi tutti i congressi di partito s’aprivano senza l’inno. Del resto, la maggior parte delle forze politiche neppure aveva il Tricolore nel proprio simbolo.
Se tutto ciò è ormai preistoria, se Benigni ne ha recitato divinamente i versi in una memorabile serata televisiva, il merito è soprattutto di Ciampi, che andò controcorrente rispetto a una classe dirigente timorosa di pronunciare concetti come “nazione” o “patria”, rifugiandosi nell’ecumenico “paese”.
La fotografia del cambiamento si coglie guardando gli stessi artefici del testo: appartengono ad opposti schieramenti. Il primo firmatario della proposta è un deputato del Pd, Umberto D’Ottavio. Il relatore del testo al Senato è, invece, di Forza Italia, Roberto Cassinelli. Su Mameli ogni divisione è finita. In precedenza (2012) parlamentari di entrambi i fronti avevano approvato anche una legge per far imparare e cantare l’inno nelle scuole.
Settantun anni dopo l’Italia chiamò.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma