Guidava ubriaco e distratto dal telefonino. E così ha tamponato a tutta velocità un’auto che era ferma a un semaforo rosso, nella periferia sud di Milano, uccidendone sul colpo il conducente, un avvocato trentunenne. L’ennesimo e assurdo incidente è avvenuto non a notte fonda e col sonno incombente, ma alle 9 del mattino di venerdì. Per di più in una città svuotata dall’estate e col ferragosto alle porte, e perciò con una viabilità meno complicata. Accusato, dunque, di “omicidio stradale aggravato” -il nuovo reato opportunamente introdotto nel codice-, è stato arrestato un trentaquattrenne d’origine peruviana. Gli avevano già ritirato la patente, perché beccato un’altra volta con un tasso alcolico oltre il limite consentito.
Ma quante storie come questa abbiamo già letto e, purtroppo, saremo ancora costretti a leggere? Che cos’altro dobbiamo pretendere dal legislatore, perché renda più severe le norme e le pene, se poi, però, chi sale in auto, non rispetta niente? Certo, si può ora chiedere di togliere la patente anche a chi parla al telefonino, pessima e diffusissima abitudine. Ma è arrivato il momento di essere onesti con noi stessi, prima di incolpare gli scarsi controlli sulle strade o la filosofia sbagliata degli autovelox, che a poco servono come deterrente per chi sfreccia credendosi Vettel a Monza, e troppe volte puniscono a tradimento l’automobilista solo per far cassa.
In realtà, è la cultura di chi si mette al volante che deve cambiare. Guidare un’auto, specie in tempi di sempre più alta tecnologia e sicurezza per tutti, è da considerare una forma di civismo a quattro ruote. Così come ci siamo abituati a mettere la cintura in macchina, perché consapevoli dell’importanza nel farlo (e non più perché ce lo impongono le norme), dobbiamo capire che al volante non si beve, né si usa il cellulare. Infliggerci la tolleranza zero da soli, pur auspicando leggi più rigorose per accompagnarci verso la svolta del costume. Del resto, scelte di civismo già le abbiamo fatte con grande maturità. Oggi nessuno più s’azzarda a fumare nei locali pubblici, dopo che una norma intelligente -ma all’epoca contestata-, ha introdotto il divieto. Oggi nessuno con la testa sulle spalle sale su una moto senza casco, dopo che una legge, anch’essa, allora, controversa, ci ha portato a questa sana abitudine. Sana per sé e per gli altri.
Perché chi guida non è mai solo. Nemmeno quand’è solo al volante.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi