Ci sono atti parlamentari, nel Paese col maggior numero di leggi in Europa, qual è il nostro, che nulla incidono sul debito, e pochissimo sul deficit pubblico. Che non creano posti di lavoro, e neppure incoraggiano il rientro dei talenti italiani fuggiti all’estero. Che non aiutano le esportazioni o la produzione. E nemmeno influiscono sulla sicurezza, altro tema che i cittadini considerano con preoccupazione.
Eppure, nonostante il loro effetto sia uguale a zero, tali atti legislativi hanno un valore esemplare per la collettività. Ogni riferimento al vitalizio, il più odioso privilegio che la casta a Roma e nelle regioni abbia coltivato negli anni con impudente indifferenza nei riguardi di tutti gli altri italiani, è voluto e dovuto.
Invece dopo la recente approvazione alla Camera di una legge che dovrebbe porre fine a questo sconcio, in qualche modo adeguando i criteri per ottenere la lauta prebenda ai rigorosi parametri contributivi dei comuni cittadini che vanno in pensione o vorrebbero andarci dopo quarant’anni di sacrifici, e con importi spesso offensivi, lo spettacolo offerto dal Palazzo è indecoroso. Senza citare l’ultima rissa a cui s’è esposta la presidente della Camera, Boldrini, con il leader pentastellato Di Battista che chiedeva lumi sul futuro percorso del testo, il Senato ha nel frattempo stabilito che del vitalizio Lorsignori discuteranno dopo l’estate. Prima vengono le vacanze.
Ma che sbaglio l’appellarsi a questioni procedurali o temporali per mandare il pallone in tribuna, come si dice nel gergo calcistico quando i giocatori pensano a guadagnare tempo o posizione in campo. I senatori dovrebbero invece capire che la gente ha bisogno di un gesto alto e forte, a prescindere dal modesto risvolto economico. Il gesto che anche i rappresentanti del popolo faranno come il popolo per avere una pensione spesso dorata che, per pudicizia, essi hanno chiamato vitalizio fin da quando se la sono inventata nella notte dei tempi.
Ma da allora l’Italia è radicalmente cambiata. Se tutti dobbiamo tirare la cinghia, i primi devono essere i legislatori. Testo incostituzionale perché retroattivo, scritto coi piedi, puramente demagogico per rasserenare l’indignazione popolare, come dicono i non pochi contestatori in Parlamento? Intanto l’approvino. Per cambiare un costume intollerabile, ci vuole un primo passo. Tutto il resto è cavillo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi