Dopo aver subìto nove attentati (di cui i tre più spaventosi fra Parigi e Nizza) negli ultimi due anni, ed aver pianto ben duecentotrenta morti ammazzati innocenti, è difficile immaginare che il terrorismo di matrice islamica non influirà sul voto dei francesi. Ma più dell’ultima rivendicazione fatta dall’Isis a proposito dell’attacco del trentanovenne francese radicalizzato, Karim Cheurfi, che giovedì scorso ha ucciso un poliziotto ferendone altri due prima di essere a sua volta ucciso sul celebre viale dei Campi Elisi, è la polemica politica tutta incentrata sul tema della sicurezza e dell’immigrazione a rivelare l’effetto della campagna del terrore sulla campagna elettorale.
Marine Le Pen ha chiesto la chiusura delle frontiere al presidente uscente Hollande, sospendendo ogni impegno elettorale. Anche altri due candidati all’Eliseo, Macron e Fillon, hanno rinunciato ai comizi, promettendo a loro volta il pugno di ferro nella corsa alla presidenza. La paura è sempre una cattiva consigliera. Ma i francesi sono sotto tiro da troppo tempo per farsi condizionare all’improvviso sulle loro scelte. Scelte che forse sono maturate nel lungo periodo sulla percezione, purtroppo avallata dai fatti, cioè dai crimini, d’essere diventati il principale bersaglio della violenza fondamentalista in Europa. L’ombra cupa del kalashnikov di Karim Cheurfi cala sulle urne. Ma l’agenda delle priorità in Francia era già cambiata da tempo.
Per i terroristi destabilizzare Parigi significa diffondere lo spettro dell’incertezza e dell’odio in tutta l’Unione europea, oltre che colpire una nazione in prima fila contro la barbarie anti-occidentale.
Sarebbe, perciò, riduttivo considerare ora il voto francese, qualunque ne sarà l’esito, soltanto una questione di populismo o di rivincita ideologica delle varie destre, estreme o non, su una sinistra a pezzi.
Il risultato finale, che secondo i sondaggi arriverà dopo il ballottaggio tra i due candidati più votati al primo turno di domani, invece ci dirà se saranno i nuovi muri o ancora i ponti il futuro dell’Europa. Ci dirà se la minaccia jihadista si affronterà con sempre maggiore prevenzione (punto debole della strategia investigativa non solo francese) e con l’implacabile rigore delle leggi. Ci dirà se al panico dilagante subentrerà presto la consapevolezza delle responsabilità.
Stavolta la posta in gioco non è solo l’Eliseo, ma come i francesi e gli europei vorranno costruire il loro destino di libertà.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi