Sulla sanguinosa partita a scacchi che si sta giocando in Siria a livello planetario ora incombe anche l’ultimatum di Donald Trump alla Corea del Nord: “Quelli cercano guai, siamo pronti ad agire anche senza la Cina”. E, a scanso di equivoci, una portaerei americana è già nell’area. “Scelta oltraggiosa, reagiremo”, replica lo stizzito ministro degli Esteri di quel regime che aveva paventato anche la minaccia atomica dopo l’attacco degli Stati Uniti ad Assad. Quest’ultimo era accusato d’aver usato financo il gas contro inermi bambini pur di colpire i suoi nemici nella guerra dei sei anni. L’intollerabile, e l’America di Trump ha voluto farlo sapere all’interessato e al mondo intero.
D’istinto verrebbe da domandarsi che cosa c’entri il ministro-ventriloquo di Kim Jong-un col Medioriente che brucia lontano per geopolitica. Invece basta ricordare i fatti per comprendere che l’avvertimento della Corea del Nord, pronta a proseguire il suo programma nucleare, per quanto sia un annuncio farlocco, ha una sua spiegazione plausibile. Trump ha deciso di dare la sua lezione ad Assad proprio nel momento in cui stava ricevendo il presidente cinese, Xi Jinping, in Florida. Al quale aveva chiesto anche di tenere a bada il focoso vicino. Perché se non ci pensa la Cina a frenare le intemperanze del Nordcoreano, sarà l’America a intervenire. E la portaerei appena arrivata a destinazione, oltre al fresco precedente della Siria, testimonia che le minacce di Trump, a differenze di quelle di Kim Jong-un, non sono solamente verbali. Con o senza la pressione di Pechino, dunque, non si può più escludere la possibilità, per ora solo proclamata, di un altro segnale “preventivo” degli Usa: far capire che non si scherza né con la vita dei bambini né con l’elucubrazione atomica di un regime che più regime non si può.
Ma il problema è che, così, il mondo sta diventando una polveriera a catena. E che il -per ora- molto eventuale ricorso nordcoreano al nucleare, ossia da parte di chi è fuori dal sistema dei rapporti internazionali, aprirebbe uno scenario senza ritorno.
Eppure, fra l’indecisionismo di Obama e l’interventismo di Trump mai come oggi sarebbe importante una terza via di questo simulacro che ci ostiniamo a chiamare Europa. Dovrebbe essere lei a indicare e a far prevalere un percorso di alleanze e di decisioni strategiche per evitare il rischio peggiore di tutti: che il fuoco alimenti solamente il fuoco.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi