Quando si arriva a una sentenza di primo grado dopo sette anni e mezzo dai fatti, la realtà è amara. Si è nel frattempo dimenticato la gravità dell’accaduto, ossia un treno carico di gas esploso il 29 giugno 2009 alla stazione di Viareggio, provocando l’inferno e la morte di trentadue innocenti. E poi non si può ancora dire “giustizia è fatta”. Perché soltanto l’appello e la Cassazione, sempre che tra un rito e l’altro non scatti la prescrizione dei reati, potranno accertare in maniera definitiva a chi attribuire le responsabilità della strage.
Prudenza d’obbligo, dunque. Ma le condanne del tribunale di Lucca a ventitré imputati per reati diversi legati a quella tragedia, e i sette anni inflitti a super manager dell’epoca come Moretti ed Elia, peraltro scontentando sia l’accusa che richiedeva il doppio della pena, sia la difesa che parla di “condanna populista”, forse un piccolo segnale lo rivelano, in attesa degli altri gradi di giudizio: il segnale che bisogna sempre tentare, almeno tentare, di individuare le responsabilità. In un Paese dove di rado qualcuno paga per gli sbagli commessi, e dove è sempre “colpa degli altri”, un tribunale ha provato ad accertare le presunte colpe anche ai vertici degli ex amministratori, non fermandosi ai soli aspetti, pur importantissimi, della sicurezza, della manutenzione, dei controlli sul carro deragliato e così via. Naturalmente, il risultato di tante udienze è la fotografia di una verità parziale, che lascia insoddisfatti i familiari delle vittime per le pene dimezzate. E che lascia interdetti i difensori degli importanti dirigenti, “esito scandaloso”, essi sottolineano. Solo le motivazioni diranno in che termini chi rivestiva ruoli altamente organizzativi possa essere tirato in ballo nella concretezza del dramma, e se è stato applicato e come il criterio, di per sé molto controverso, del “non poteva non sapere”. Ma questo sarà il tema dei successivi giudizi, sarà materia da aula giudiziaria sulla quale solo i conoscitori del processo possono esprimersi con attendibilità e polemizzare tra loro per il troppo o il troppo poco deciso dai magistrati. Al cittadino che nulla sa della controversia giuridica, ma che comprende perfettamente il dolore dei familiari, e che anche sette anni dopo la strage resta incredulo per quanto sia potuto avvenire in una stazione ferroviaria d’Italia, solo una cosa oggi interessa: sapere il perché, e per colpa di chi, del disastro che non doveva accadere.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi