Sono due donne-simbolo della nuova e giovane politica, entrambe contestate per i gravi errori compiuti, ed entrambe si sono scusate coi loro elettori. L’una, Alessandra Moretti, s’è alla fine dimessa da capogruppo del Pd nella Regione Veneto, travolta dalle polemiche per il viaggio in India mentre risultava assente dai lavori in Consiglio per malattia. L’altra, il sindaco Virginia Raggi, deve risolvere “quer pasticciaccio brutto” del Campidoglio, che la vede sott’assedio a Roma come mai lo era stata in sei mesi di pur tempestoso mandato.
E i Cinque Stelle sono così al bivio. Possono decidere di “resistere, resistere, resistere”, sperando che passi la nottata. Un atteggiamento da vittime, tipico di quelli che ovunque vedono complotti orditi ai loro danni, che non rispondono alle domande dei giornalisti, e che magari in cuor loro pensano “chi se ne importa, tanto la rete vi seppellirà”.
Oppure il movimento di Grillo, che sull’onda della più bella promessa politica che sia stata fatta in questi anni -“l’onestà tornerà di moda”- avevano raccolto un largo e trasversale consenso degli italiani, può scegliere la strada opposta. E ammettere, come sanno fare le persone perbene allergiche alle ipocrisie, che sì, è vero, non tutta la classe dirigente è all’altezza del compito. Riconoscere che chiudersi nella torre d’avorio del “popolo web”, dio telematico che tutto vede e provvede, significa perdere di vista la realtà e nobiltà dell’impegno politico, che è fatto di sudore e di lacrime non solo fra la gente, ma anche tra forze politiche con regole trasparenti, dissensi, leader vincitori e sconfitti: è la democrazia, bellezza. Per governare il Paese o un paese, non basta la fedina penale immacolata, presupposto minimo di ogni civile convivenza. Occorrono anche competenze, preparazione, capacità nella scelta dei collaboratori. Il civismo al potere, che è la grande rivoluzione perseguita dai Cinque Stelle, non è sufficiente né per aggiustare le buche sulle strade, né per far sentire la voce dell’Italia in Europa. Nel mondo sempre più interconnesso ma pure affamato di conoscenza, che elegge la sua rappresentanza politica per avere risposte, il partito di Grillo deve scegliere come interrogarsi.
L’esperimento fallimentare nella Capitale rappresenta l’ultima chiamata per il futuro del movimento. Roma può diventare il grande avvenire dietro le spalle. Oppure l’opportunità per imparare la lezione con umiltà ed entrare nell’età matura della politica.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi