Il Nelson Mandela di Cuba si chiamava Mario Chanes de Armas. Era al fianco di Fidel sia nell’assalto della caserma Moncada il 26 luglio 1953, sia nel viaggio del “Granma”, la nave che salpava dal Messico per sbarcare nell’isola il 2 dicembre 1956. L’evento che tre anni dopo avrebbe portato alla cacciata di Fulgencio Batista, il precedente dittatore. Come molti combattenti che si erano battuti per la libertà della patria, ma non per il comunismo in salsa cubana, Mario Chanes sarà arrestato il 17 luglio 1961. E la sua storia di uomo giusto e irriducibile, che voleva la liberazione della sua gente da ogni tirannia, buttata con lui in galera. Trent’anni di prigione per aver “attentato alla rivoluzione”. Lui, che la rivoluzione aveva fatto due volte a costo della vita.
Mario Chanes, il detenuto politico più detenuto al mondo, è stata la leggenda degli oppositori incarcerati a fiumi in quasi sessant’anni di regime, e molti di loro, migliaia, fucilati a Fortaleza de la Cabaña.
Anche un altro Mario, ma di appena ventiquattro anni, ha rappresentato un simbolo per i cubani che sono scappati dall’inferno politico ed economico nell’isola per rifarsi una vita altrove, soprattutto nella vicina Miami. Quasi un milione di cittadini nati a Cuba e fuggiti nel tempo e altrettanti figli e nipoti ormai americani. Mario de la Peña, ragazzo-simbolo dell’esilio, fu abbattuto in acque internazionali dall’aviazione militare castrista, mentre pilotava, il 24 febbraio 1996, un piccolo e disarmato aereo da turismo per segnalare alla guardia costiera americana, e poter salvare, i fuggiaschi dall’Avana sulle zattere. “Mi assumo la responsabilità per quanto accaduto”, fu la rivendicazione del crimine che Fidel fece l’11 marzo 1996 a Time Magazine. Si voleva dare una lezione ai “Fratelli di soccorso”, l’organizzazione di giovani che, quando potevano, sorvolavano in fretta anche su Cuba per lanciare volantini che inneggiavano alla libertà. Ammazzare Mario per “avvertirli” tutti.
Troppa sofferenza hanno vissuto, gli esuli, i dissidenti, gli oppositori che in queste ore fanno festa di liberazione a Miami. E scrivono “finalmente”, come la dissidente Yoani Sánchez sul suo blog. E ricordano, dopo quasi sessant’anni di regime che ha privato il suo popolo del libero diritto di voto, che “è morto un tiranno”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi