Sconvolti dalle devastazioni di un terremoto che si è sentito in tutta Italia -e perciò ancor meglio ciascuno di noi ha potuto cogliere la disperazione delle popolazioni colpite-, e con lo sguardo rivolto, al massimo, alle lontane elezioni in America pur in arrivo, rischiamo di sottovalutare un’importante notizia “sul campo”: Mosul, la città principale a Nord dell’Iraq nelle mani dell’autoproclamatosi Stato islamico da due anni, starebbe per essere riconquistata e liberata. “Arrendetevi o morirete”, è l’ultimatum che ha lanciato il premier iracheno Haidar al Abadi all’Isis. Traballa, dunque, la roccaforte dei terroristi e del suo Califfo, a conferma di una sconfitta via militare che sta riducendo, di giorno in giorno e di settimana in settimana, il territorio da loro controllato e il potere criminale da loro esercitato.
Ma, a parte che la vittoria sul terreno non è ancora completa e rischia, specie in queste ore da battaglia finale, di travolgere anche un gran numero di civili incolpevoli e inermi, ma “imprigionati” nelle loro stesse case dagli jihadisti resistenti e pronti a qualunque infamia nell’ultima difesa, guai a cantare vittoria. E’ vero, certo, che la ripresa del territorio su cui s’era insediato questa oligarchia del Male era la premessa necessaria per estirparla. Ma troppe e recenti stragi non solo in Europa invitano a non illudersi, né ad abbassare il dovere istituzionale della tranquilla, ma puntuale sorveglianza. La bestia ferita può essere capace di reazioni della stessa inaudita violenza, ma ancor più inaspettate rispetto a quand’era in salute e, baldanzosa, proclamava in anticipo i suoi delitti, o li rivendicava subito dopo. Troppo odio è stato ovunque seminato per poter sognare che con la presa di Mosul, più tutto ciò che ne conseguirà, la nuova barbarie del nostro tempo sia stata debellata. Troppi fanatici si sono abbeverati alla disumanità dell’Isis per immaginare che, deposto il Califfo, essi torneranno alla convivenza del vivere civile. Troppo intensa è la sete di vendetta che è stata diffusa contro il mondo libero e occidentale per pensare che le armi avranno la meglio anche sul pensiero folle e radicalmente fondato sul pregiudizio. L’esperienza delle cosiddette cellule dormienti, l’orrore che in Francia -il simbolo europeo più insanguinato, non però l’unico- hanno provocato singoli esaltati, ammoniscono: lo scontro va ben oltre la “riconquista”. Mosul non è la fine, è l’inizio di una liberazione che sarà ancora lunga e tormentata.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi