Ha avuto un solo grande amore nella vita, la moglie Franca di nome e di fatto, e un solo grande amore nei sogni, l’adorata Italia. Visto da vicino, Carlo Azeglio Ciampi, decimo presidente della Repubblica negli ultimi anni del Novecento, era ciò che appariva da lontano: una persona rigorosa, distante dai fanfaroni, estranea agli intrallazzi di un Palazzo mai frequentato, se non per dovere istituzionale. Ma quando ho avuto il privilegio d’essere il primo giornalista ad averlo intervistato al Quirinale per la tv (Rai International), quest’uomo già governatore della Banca d’Italia e scelto dalla politica sempre nei momenti difficili -prima presidente del Consiglio, poi ministro del Bilancio, infine capo dello Stato- proprio perché non “apparteneva” ad alcuna fazione, si rivelò persona semplice. Uno dei tanti italiani che s’incontrano ovunque, privi di spocchia e carichi di buonsenso. Di folto aveva solo le sopracciglia sugli occhi azzurri e svegli. “Di che dobbiamo parlare?”, chiese quasi con ingenuità, ben sapendo che il tema concordato era a lui molto caro, l’imminente anniversario del 4 novembre. Questa libertà di conversare senza rete era, in fondo, lo specchio e lo spirito dell’esistenza. Dalla parte della libertà il giovane Ciampi s’era schierato dopo l’8 settembre. L’umanista raffinato (nientemeno che alla Normale di Pisa), si sarebbe preso, di nuovo, la libertà di studiare e diventare esperto di economia. L’italiano appassionato -di Livorno, figurarsi- al sentimento della libertà repubblicana e popolare avrebbe dedicato l’intero settennato. Facendo riscoprire agli italiani il piacere di cantare l’inno di Mameli, di sventolare il Tricolore non solo ai Mondiali di calcio, e riaprendo l’Altare della Patria ai cittadini, e ripristinando la sfilata del 2 giugno ai Fori imperiali. Alla libertà economica Ciampi avrebbe poi associato un destino europeo, naturale prosecuzione dell’italianità vissuta con orgoglio: il posto dell’Italia accanto ai grandi Paesi d’Europa, a costo di sacrifici che ancora pesano -si pensi all’introduzione dell’euro-, ma che si fanno per guardare e andare lontano. C’è in questo cammino l’impronta dell’ultimo presidente risorgimentale, convinto che pensiero e azione debbano essere testimonianze e non solo parole. Che passione e rigore siano bussola d’ogni governo. Che la lealtà verso i cittadini sia una missione: dire la verità, pane al pane. Amare perciò la Patria, basta chiamarla “Paese”. E’ il suo lascito più alto e generoso.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi