Si parte, ma quanti primati già raggiunti. Le prime Olimpiadi in Sudamerica, le prime nell’era del terrorismo globale, le prime con una rappresentanza di rifugiati, specchio del nostro tempo di paura e di speranza. Le Olimpiadi più blindate della storia. Il mondo si è fermato a Rio, nell’immenso Brasile, per sognare con atleti che proveranno ad essere i “più veloci, più alti e più forti”, come dice il motto in latino dei Giochi moderni. Ma l’universo si ferma anche per un viaggio nella nostalgia, e forse un viatico: nell’antica Grecia, la patria dell’evento, quando i campioni gareggiavano, tutte le guerre venivano sospese. Che grande e purtroppo oggi inascoltata intuizione: le gare più importanti dei conflitti, l’amor di patria che si esalta nel festoso silenzio della pace, mai nell’odio urlante delle armi. E poi ogni nazione ha il suo bell’esercito di beniamini da sostenere con gli occhi incollati in mondovisione e da accompagnare col cuore che batte una disciplina dopo l’altra. Forza, allora, Federica Pellegrini, portabandiera degli Azzurri come il cielo di Maracanà.
L’Olimpiade arriva ogni quattro anni, ma dà una lezione di vita per i prossimi quattro. L’oro, l’argento e il bronzo premiano il merito, che è sempre e solo frutto del talento e del sacrificio dei singoli e della squadra. Ma vincitori e vinti alla fine s’abbracciano.
Più di cinquanta i presidenti presenti alla cerimonia d’apertura, compreso il nostro Renzi che ha, rispetto agli altri, una ragione in più: promuovere la candidatura dell’Italia per i Giochi 2024, dopo quelli organizzati a Roma nel 1960. Per ottenerli, basterebbe che la politica copiasse dallo sport. E’ la caparbia capacità di credere in un progetto, e di saper tagliare il traguardo lontano ciò che ha reso così vincenti i nostri atleti. E’ l’unità delle loro differenze ad aver dato forza a una nazione, l’Italia, che è al quinto posto nel medagliere complessivo della storia olimpica. E che negli ultimi anni di Paesi prorompenti e imparagonabili per numero di cittadini e perciò di sportivi -basti un nome: la Cina-, è sempre rimasta nel G10, grande tra i grandi. E poi lo sport realizza la parità fra donne e uomini sconosciuta ai partiti. L’inefficienza non abita qui, nel pianeta olimpico, dove se non si è puliti, si è cacciati. Rigore negli allenamenti, voglia di sfidare il mondo per conoscere il proprio valore e riconoscere quello degli altri.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi