Dei quarantaquattro presidenti che si sono avvicendati alla guida degli Stati Uniti in più di duecento anni di storia, l’attuale, Barack Obama, si sa, è un democratico. Ma il suo predecessore, George W. Bush, era un repubblicano. Se si va all’indietro nel tempo, si vedrà che l’alternanza è di casa alla Casa Bianca. Perciò, anche se i sondaggi danno oggi vincente Hillary Clinton nella corsa elettorale, non si può certo escludere che possa invece essere sorpassata da Donald Trump all’ultimo giro di novembre. Il miliardario che ama spararle grosse e detesta il politicamente corretto è stato incoronato come il candidato ufficiale del Grand Old Party -così è conosciuto dalla gente- alla convenzione di Cleveland. Con lui, dunque, piaccia o non piaccia (e a molti in America e in Europa non piace), bisognerà imparare a fare i conti. Specie in una competizione dall’imprevedibile e temibile scenario internazionale. E attenzione: il tema della sicurezza e del terrorismo è forse il terreno prediletto e più popolare di Trump.
Che succederà, allora, se l’avventura dell’avventuriero dai settant’anni appena compiuti, e che giura perfino sul colore improbabile dei suoi capelli biondi, dovesse passare dalla Hollywood quotidiana dov’è ora relegata al G7 dei Paesi chiamati alle grandi decisioni? Che rapporto il Donald dal pensiero e dalle battute tanto folgoranti quanto grevi, e a volte semplicemente orribili, potrà instaurare con Putin e con Erdogan? E con la Cina? E coi rappresentanti di un Medio Oriente bollente e di un’Europa disunita non solo per Brexit? Come dimenticare Papa Francesco, che l’aveva scomunicato per l’ottusa propensione dell’oggi candidato repubblicano a invocare muri, fosse anche e solo quello fra la ricca America e il povero Messico. Già, le religioni e l’islam: che accadrà, se dovesse farcela lui?
In attesa di giudicare il candidato nell’aspro confronto con Hillary, l’esperienza suggerisce due cose. Che l’Istituzione americana dà una regolata anche ai più sregolati. E poi che talvolta candidati sbeffeggiati o temuti, come Ronald Reagan, si sono rivelati grandi presidenti.
Per l’investitura Trump ha mobilitato l’intera famiglia, dai figli alla moglie Melania, che ha scopiazzato, poverina, l’analogo discorso di Michelle Obama per il marito. Ma guai a sottovalutare l’impatto dell’unita e “bella” famiglia Trump sull’elettorato conservatore.
La sfida è aperta, le incognite molte, l’esito non è scontato.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi