Per reagire a una minaccia continua ma imprevedibile, com’è quella dell’autoproclamatosi Stato dell’Isis, non bisogna avere paura, prima di tutto, delle parole. Come già il presidente francese Hollande aveva ammonito nelle ore della strage del Bataclan il 13 novembre 2015, dobbiamo tutti renderci conto che oggi siamo in guerra, sì, guerra contro il terrorismo. Come ha detto il nostro premier Renzi onorando la memoria dei nove italiani uccisi venerdì sera nell’eccidio di Dacca, Bangladesh (venti morti ammazzati, di nuovo, in un locale pubblico; ma prima sono stati anche torturati perché non sapevano recitare il Corano), qui sono in gioco i valori della nostra libera civiltà, sì, civiltà. Che ha fatto del sacro rispetto della persona e dell’amore per la vita il suo fondamento non negoziabile al di là di ogni confine. E la barbarie, infatti, colpisce ovunque, dall’Europa all’Asia. Uccide chiunque, ma soprattutto gli “stranieri crociati” come gli jihadisti amano identificarci prima di tagliarci la gola. Loro amano la morte.
Già nell’ora del dolore e dello sgomento occorre rispondere all’altezza della sfida dell’orrore. Non già “uscendo” dall’Unione, alla Brexit, o rinchiudendosi ciascuno nel suo Paese-fortino: l’Europa non è un’isola e divisi continueremo tutti a perdere non soltanto vittime innocenti. La più grave strage di italiani civili dopo quella di Nassiriya (diciannove uccisi, soprattutto militari) il 12 novembre 2003, deve insegnare l’opposto: solo unendo ogni forza militare e investigativa e ogni sforzo politico e organizzativo l’Europa potrà sradicare il male più orribile del nostro secolo. Insieme per difendere il nostro diritto a vivere senza paura e a testa alta.
Pubblicato su L’Arena di Verona e Bresciaoggi