Giocano al ballottaggio come alla battaglia navale. Da Roma a Milano, da Torino a Bologna gli esclusi hanno cominciato a cannoneggiare “il nemico principale”, cioè Matteo Renzi, per interposto candidato. Con l’obiettivo di affondarlo. “Io voterei Raggi e Appendino”, ha detto chiaro e tondo Matteo Salvini, il leader della Lega a sostegno delle due candidate Cinque Stelle. Entrambe in corsa contro rappresentanti del Pd, Giachetti nella capitale e il sindaco uscente Fassino nel capoluogo piemontese. Non è un caso. Salvini e Giorgia Meloni, leader dei Fratelli d’Italia, il loro “mai col Pd” l’avevano teorizzato da tempo. Così come importanti esponenti di Forza Italia, anche se il leader Berlusconi ha annunciato che a Roma fra Raggi e Giachetti lui sceglierà la scheda bianca, cioè non sceglierà. Il che, allo stato aritmetico delle cose, si traduce in un aiutino alla candidata Cinque Stelle, perché parte con un discreto vantaggio sull’inseguitore. Persino la sinistra-sinistra che si è separata dal Pd senza ottenere i risultati elettorali sperati, ora rifiuta apparentamenti, di nuovo mettendo subliminalmente sullo stesso piano i candidati Cinque Stelle con quelli del suo ex partito.
Renzi sott’assedio, dunque. Il ballottaggio, ossia la preferenza amministrativa per il candidato migliore o meno peggiore tra due, si sta trasformando in occasione per mandare un siluro al governo.
In politica, si sa, molto spesso i nemici dei miei nemici sono miei amici. Perciò non è scandalo se, da destra a sinistra, il fronte trasversale di chi non andrà al secondo turno, faccia manovre a tutto campo.
La novità, invece, è che due proteste tanto diverse, quelle della Lega e dei Cinque Stelle, possano fondersi in nome del comune avversario da sconfiggere. La sorpresa è l’unione dell’anti-politica intesa come contestazione al Palazzo rispetto alla politica intesa come quelli che governano il Paese o le amministrazioni.
Ma a parte il ruolo di oppositori, Lega e Cinque Stelle hanno idee ed elettorati distinti e distanti. Non si potrebbe immaginare una coalizione Salvini-Di Maio, due proteste con proposte differenti.
E’ scontato che in un Paese dove tutto si politicizza, anche i futuri sindaci finiscano nel frullatore. Ma forse non sarebbe inutile se, mentre è in pieno e legittimo corso la corrida di Matteo contro Matteo, i candidati fossero giudicati magari anche per la loro capacità di riparare le buche delle strade e guidare le città con decoro e speranza.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi