Una cosa è tirare un sospiro di sollievo, altra è parlare di pericolo scampato. Lo spettro che s’aggira per l’Europa non avrà la sua prima fermata a Vienna, è vero. Ma tra un mese esatto, il 23 giugno, il Regno Unito va al referendum per decidere se restare o andarsene dall’Unione dei ventotto Paesi nel continente. E la minaccia di uscire, già soprannominata Brexit, avrebbe conseguenze diverse, ma non meno pesanti per i rimanenti rispetto a quelle appena evitate col voto austriaco. Quello zero virgola -virgola tre, per la precisione- grazie al quale l’Austria avrà un presidente della Repubblica europeista e favorevole a costruire ponti, il severo economista verde Alexander van der Bellen, può adesso consolare chi paventava lo scenario peggiore e senza precedenti nella storia del secondo dopoguerra. Il rischio, svanito per un soffio, che al vertice delle istituzioni salisse l’ormai noto Norbert Hofer, ossia il rappresentante di una destra che accarezza ogni estremismo: dal populismo anti-europeo al muro anti-immigranti al Brennero, perfino alla rivendicazione pan-tirolese dell’Alto Adige. L’Austria s’è divisa a metà e se, nell’ora del ballottaggio, gli elettori hanno scelto per il rotto della cuffia l’uomo del ponte anziché quello del muro c’è poco da festeggiare e molto da capire. Capire che la sveglia è suonata per la penultima volta, in attesa di ascoltare la voce dei cittadini di Sua Maestà Elisabetta II. Ma tra il valzer di Vienna e Buckingham Palace, fra il terremoto finito e l’annunciato l’Europa intera deve reagire in tempo. Dalla Spagna senza governo in cui veleggiano gli oppositori del bipolarismo di sempre Popolari-Socialisti alla Francia dove aleggia Marine Le Pen, ai Paesi del Nord Europa e dell’ex Est nei quali attrae la sirena anti-europea di destra, di sinistra o con nuove etichette ovunque è la politica del continente a essere “radicalmente” contestata. Ma il paradosso è che neppure di una politica riconoscibile si possa parlare, perché dall’immigrazione all’economia, dalla politica estera a quella di difesa il fronte comune vacilla.
L’esito di tale debolezza è che il primo Hofer che si alza e grida al lupo, solleticando paure e pregiudizi, rischia di diventare presidente della Repubblica. Per chi suona la campana, allora? Per chi crede che l’Europa non sia politica dell’indifferenza, fortino di Bruxelles o vacua retorica, ma la porta aperta del nostro migliore destino.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi