La fine del racconto ha una data e un luogo: domenica 23 luglio 1882, Montevideo, Uruguay.
Quel giorno un corteo di cittadini memori, e alcuni di loro commossi, sfilò per le strade della capitale per dare l’ultimo saluto a un morto che non c’era.
Garibaldi era scomparso nella sua Caprera, Italia, il 2 giugno precedente. Ma nessuno aveva dimenticato i sette anni che dal 1841 al 1848, cioè ben trentaquattro anni prima della manifestazione, quell’uomo avesse dedicato all’Uruguay, contribuendo a salvarne l’indipendenza a costo della vita.
I resoconti dell’epoca riferiscono di una mobilitazione a cui presero parte fra le 15 mila e le 25 mila persone. E poiché l’intera nazione contava su poco più di mezzo milione di abitanti, di cui 160 mila a Montevideo, sarebbe come se in Italia fra i due e i tre milioni di cittadini scendessero in piazza a Roma per commemorare uno straniero morto dall’altra parte dell’Oceano, che era qui vissuto sette anni soltanto, e che se n’era andato via per sempre tre decenni prima.
Basta la cronaca, dunque, per capire quanta storia Garibaldi abbia lasciato in Uruguay. Dove fu proclamato un lutto nazionale di tre giorni alla notizia del decesso, dopo che il Parlamento s’era mosso in precedenza per dare una pensione “al generale Garibaldi”, perché s’era sparsa la voce che in Italia l’eroe dei due mondi se la passasse male.
Ma l’amore sudamericano per Garibaldi non lo si può spiegare né con la selva di bandiere, uruguaiane e italiane, che accompagnavano quel corteo funebre senza feretro, né coi fiori che la gente buttava dai balconi per una cerimonia civile che voleva essere dolce come il ricordo.
Nemmeno si può spiegarlo col monumento a lui innalzato, anni dopo, di fronte al porto dal quale era sbarcato a Montevideo. Sarà eretto ai primi del Novecento con una sottoscrizione popolare.
Sopra l’alto piedistallo, lui è raffigurato in piedi, col mantello sulle spalle e la mano sinistra che sostiene la spada. “Montevideo a Garibaldi comandante della Forze Navali della Repubblica 1842-1848”, dice l’iscrizione in spagnolo sopra una grande àncora. Dev’essere l’unico monumento al mondo, dei tanti per lui costruiti, con l’àncora.
Non, allora, per la quantità di gente che per strada lo rimpiangeva e piangeva nell’inverno uruguaiano del 1882. Neppure per l’opera monumentale e popolare che sarà realizzata per tramandarne la figura.
Per capire il valore di Garibaldi in America latina, bisogna, semplicemente, raccontarlo.
Per comprendere quanto la sua sfida per l’indipendenza dell’Uruguay abbia ispirato la sua impresa per l’unità d’Italia, bisogna partire da Montevideo. Entrare nella casa che ha abitato. Ripensare alla chiesa dove s’è sposato, e che non c’è più. Rivedere una camicia rossa conservata e consumata. Tornare sui campi un tempo di battaglia dove si guadagnò la fama e gli onori di invincibile, oltre che della persona retta: riconoscimento ancor più importante. Ripercorrere i sentieri e i ruscelli della libertà.
Andare alla ricerca della storia perduta e dell’eroe ritrovato. Eroe, certo, perché così era considerato dai contemporanei. Persino dai suoi nemici (ne ebbe tanti).
Il grande fiume tra l’Uruguay e l’Argentina, il Río de la Plata, racconta leggende. Io sono andato ad ascoltare quella di Garibaldi. E solo dopo averla scritta, mi sono accorto che molto spesso non di leggenda si trattava, ma della sua vita reale. La vita di Garibaldi “el libertador”, il liberatore venuto da lontano.
La statua di Montevideo lo rappresenta con lo sguardo che si perde verso l’orizzonte. Come se cercasse ancora la sua Anita. Come se cercasse sempre la sua adorata Italia.
(Tratto dal mio libro “Garibaldi El Libertador”, Collana Parco Esposizioni Novegro, Milano, 2016)