Non sorprende che Papa Francesco, l’uomo venuto “quasi dalla fine del mondo” che non perde occasione per esortare popoli e nazioni ad aprire ponti, abbia appena proposto una piccola grande novità per la Chiesa cattolica, apostolica e romana: l’istituzione di una commissione di studi per valutare la possibilità che anche le donne possano amministrare alcuni sacramenti come il battesimo e il matrimonio. Il diaconato al femminile, dunque. Un ruolo nuovo da attribuire alle donne nel primo grado dell’ordine sacro che precede il sacerdozio e l’episcopato. Ruolo nuovo, eppure antico, perché nei primi secoli della Chiesa già esistevano le diaconesse, pur esercitando una funzione “rimasta un po’ oscura”, come ha ricordato il Pontefice annunciando la decisione durante un incontro con quasi novecento rappresentanti delle comunità religiose femminili e dell’organismo internazionale delle Superiore Generali. E’ un’iniziativa che potrebbe domani diventare svolta storica per una Chiesa da duemila anni in mano agli uomini nella sua organizzazione e predicazione.
L’idea che le donne-diacono “siano una possibilità per l’oggi”, secondo le parole di Francesco, arriva nel bel mezzo della polemica rovente, promossa soprattutto dagli ambienti politici cattolici, contro la legge sulle unioni civili approvata dal Parlamento. Una parte di questo fronte ha dichiarato lotta dura e senza paura: promessa di un referendum contro il provvedimento, petizioni al Quirinale per non promulgare il testo e invito ai sindaci all’obiezione di coscienza, cioè a non applicare una legge della Repubblica.
Rispettando la legalità, ogni dissenso è legittimo e benvenuto. Specie su una materia che riguarda non l’astratta ideologia, bensì la vita concreta e i diritti delle persone. Ma proprio questo rende così diverso l’approccio di un Papa che coglie il senso comune delle cose (ha ancora significato, nel 2016, escludere le donne dall’amministrare sacramenti?), in confronto alla politica che rivendica valori cattolici, ma fatica a vedere, sentire e parlare alla società che cambia. Anche i credenti, a maggior ragione quelli che fanno politica, dovrebbero decidere se limitarsi a contemplare il mondo, oppure se cercare di interpretarlo e perfino di cambiarlo. Nessuno può più restare alla finestra. Né reagire in modo spesso strumentale e talvolta ipocrita al tentativo di capire e di camminare al passo del proprio tempo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi