“Per vent’anni ho vissuto a fianco di Montanelli e non parlo solo della vita professionale, delle giornate passate in redazione. Non saprei dire se per me fosse un padre, un fratello maggiore, uno zio o un amico. Montanelli manca un po’ a tutti. A me moltissimo”. Così scriveva, dodici anni fa, Paolo Granzotto nel suo libro “Montanelli”, titolo essenziale e senza fronzoli, com’erano entrambi nella vita e nella scrittura. Perché Granzotto, romano, morto ieri a Milano a 76 anni, era uno dei pochi giornalisti autenticamente montanelliani non soltanto per aver condiviso con lui la sfida de “Il Giornale” nel 1974. Di Montanelli, Granzotto aveva lo stile cristallino e sarcastico del racconto, l’amore colto e libero per la storia, la vocazione a stare sempre dall’altra parte della barricata. E poi la dedizione per i lettori dei suoi articoli e libri: per anni ha curato, come prima di lui Montanelli, la rubrica l’”angolo di Granzotto” sul Giornale. Figlio d’arte di Gianni Granzotto, nella gavetta di Paolo ci fu, oltre a “il Messaggero”, anche “un quotidiano di provincia che voleva mostrarsi all’avanguardia: pur di scrivere, m’ero adattato a firmare con uno pseudonimo al femminile, Emma Conti. Montanelli mi disse: se sei così bischero d’avere accettato, vuol dire che il giornalismo lo hai nel sangue. Auguri. Compivo i diciott’anni”. Paolo Granzotto, un signor giornalista.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma