Quanto la politica, in Italia, abbia perso il più elementare senso delle istituzioni, lo rivela un episodio perfino divertente, nel suo piccolo: Papa Francesco che ha sottolineato -sottolineare è proprio il verbo giusto- non solo di non aver invitato il sindaco di Roma, Ignazio Marino, all’incontro mondiale delle famiglie e alla messa che si sono svolti a Filadelfia, in America, qualche giorno fa, ma di essersi pure premurato di chiedere agli organizzatori se per caso, almeno essi, l’avessero invitato. E gli sventurati risposero al Papa come il Papa stava rispondendo a un giornalista che voleva sapere: proprio no, nemmeno gli organizzatori avevano chiesto al sindaco Marino di attraversare l’Oceano per incontrare, a Filadelfia, il Papa che pur soggiorna a Roma.
Non occorre premettere che, come tanti cittadini dell’universo, anch’io sia felice dell’opera grandiosa che Francesco sta compiendo con parole e soprattutto con esempi. Né che, come tanti cittadini che vivono a Roma, anch’io consideri Marino un perdente di successo, quella brava persona da molti descritta che infila una gaffe dopo l’altra e non riesce a risolvere i problemi concreti e numerosi della più bella città del mondo, esattamente come troppi suoi predecessori.
Ma la gioia per il Papa e la delusione per Marino non mi impediscono di dire che Francesco non doveva liquidare in quel modo la più alta istituzione di Roma, cioè il suo sindaco, neanche rispondendo con sincera arrabbiatura a una domanda pertinente e birichina. Neppure rivelando un’utile verità per tutti, cioè che Marino non era stato né da lui né da loro invitato. Il Papa ha sbagliato. Il sindaco della città di cui Francesco è il vescovo merita il rispetto dell’istituzione religiosa sempre, e a prescindere dagli errori evidenti che Marino ha dimostrato nel suo viaggio americano e nel suo rapporto col Vaticano.
Ma nessun partito di governo e nessuna forza di opposizione, nessun politico pro Marino (oggi pochi) o contro Marino (un esercito), ha sentito il dovere o almeno la dignità istituzionale di dire al Papa che un Papa non può trattare in quel modo il sindaco di Roma in pubblico e per una questione così piccola da poter essere ridotta a un pettegolezzo fra Stati. Fra chi rappresenta la capitale dello Stato italiano e chi rappresenta lo Stato del Vaticano.
Caro Papa, stavolta non ci sto. Ma a dirglielo doveva essere la politica, che invece ha taciuto per comodità, per conformismo, per non consapevolezza del proprio e nobile ruolo di voce sovrana dei cittadini italiani.