Ma arrivano le elezioni europee oppure il prossimo 8 giugno a Strasburgo andrà in scena la prova d’appello del voto politico del 25 settembre 2022 a Roma? Il dubbio sorge spontaneo, assistendo alla corsa di tanti leader dei principali partiti (fanno eccezione Matteo Salvini per la Lega e Giuseppe Conte per il M5S), all’Europarlamento.
Dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla segretaria del Pd, il maggiore partito d’opposizione, Elly Schlein, è un carosello di numero 1 messi bene in evidenza in lista. Una scelta corale senza precedenti, se si considera che i personaggi più rappresentativi dei partiti non ambivano ad andare in Europa, considerandola una ricca casa di riposo politica per chi aveva già dato (e per i trombati in altre elezioni). Oggi, invece, alcune forze hanno deciso persino di imprimere il nome e cognome dei loro capi accanto al simbolo.
Questa scelta stravagante di proporre gran parte della leadership politica italiana per l’Unione europea, si presta a una doppia interpretazione.
La prima è la più facile: ma chi vogliono prendere in giro? Gli elettori sanno perfettamente che nessuno dei grossi calibri in campo si dividerà fra Strasburgo e Bruxelles. Si candidano, dunque, pronti a dimettersi un minuto dopo la loro elezione. Lo fanno per attirare voti, cioè per sfidarsi tra loro. Deprimente, sarebbe.
C’è, però, una seconda spiegazione possibile. E’ vero, la scommessa dei capi partito è fatta per tastare gli equilibri, misurando la febbre del governo e lo stato di salute delle opposizioni.
Ma forse per la prima volta in 45 anni di elezioni europee i partiti si sono anche resi conto di quanto sia importante l’Unione dei 27 Paesi.
Tutte le scelte di politica economica ricadono da Bruxelles su Roma. Le direttive europee, ci piacciano o no, incidono sul nostro ordinamento e sulle nostre vite. La politica estera italiana, come quella di difesa e di sicurezza, non può prescindere da quella degli altri.
Mettendoci il nome e la faccia, sia pure con la logica cinica del “mordi e fuggi”, i leader italiani finiranno comunque per risvegliare l’interesse dei cittadini per un voto fino a ieri considerato irrilevante.
Che i leader politici facciano questo per convinzione o per convenienza, poco importa: la loro semplice presenza li indurrà, e indurrà pure gli elettori, a prendere maggiore coscienza sul comune destino europeo.
Se l’obiettivo era gareggiare a Roma per interposto Europarlamento, l’esito potrebbe rivelarsi diverso: far riscoprire agli italiani il valore acquisito nel tempo dall’Europarlamento dalla prima volta del voto nel 1979. Un valore ancora parziale e limitato, rispetto alle altre più decisive istituzioni europee. Ma con i candidati Meloni e Schlein, Tajani e Bonino, Renzi e Calenda (e Salvini e Conte di sicuro impegnati in una campagna elettorale che s’annuncia all’ultimo voto), Strasburgo finirà per diventare la ventunesima Regione d’Italia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova